In una primavera della fine degli anni Novanta mi capita di leggere, su una rivista dell’epoca, un’intervista al monaco vietnamita Thich Nath Hanh. Ne rimango folgorata: oltre alle sue parole mi colpisce dritto al cuore il suo volto. Non ho nemmeno bisogno di leggere uno dei suoi tantissimi libri. Decido subito che voglio conoscerlo.
Ho seguito il mio istinto: nemmeno un dubbio, nemmeno un timore. Non sono mai stata una persona avventata: strano che io non mi sia ben informata. Una telefonata al gruppo italiano credo si chiamasse Essere Pace e via. Poche volte nella mia vita sono stata così convinta di qualcosa.
Quel luglio dello stesso anno parto in treno col mio bambino alla volta di Plum Village, la residenza di Thich Nath Hanh. Dopo vari cambi (Nizza, Marsiglia e infine Bordeaux) arriviamo in un piccolo paese dove ci viene a prendere un monaco col suo pulmino. Era un momento difficile per me: ero in crisi col mondo del Rebirthing, un mondo che avevo fino a quel momento così tanto amato ma di cui non condividevo molte cose.
L’incontro col Maestro vietnamita, tutti i suoi discorsi di Dharma, l’esperienza nel villaggio dei pruni che lui, insieme ad altri monaci e monache aveva creato, mi fecero fare pace con la vita e con il mondo intero. È stata un’esperienza bellissima, nutriente e semplice.
I bambini si divertivano spensierati mentre noi adulti ascoltavamo Thai nei suoi lunghi discorsi che per me volavano. Un giorno in francese, un giorno in inglese, un giorno in vietnamita. E c’era sempre a disposizione la traduzione simultanea. Una perfetta organizzazione. Eravamo più di mille persone provenienti da tutto il mondo. Eppure non volava una mosca. Thai suonava la grande campana, i monaci cantavano.
Per me era l’estasi, le parole e i suoni entravano dentro di me come un balsamo guaritivo. Sono stati 12 giorni (i primi di una lunga serie) meravigliosi. Ho visto messo in pratica uno stile di vita che amavo e mi appariva integro e congruo. L’etica e l’integrità che ho sempre cercato e che ancora adesso fanno parte del mio modo di vivere.
L’anno dopo ero ancora lì per rigenerarmi, per nutrirmi. Come diceva Thich Nath Hanh, rivolto a noi operatori della relazione d’aiuto, è fondamentale prendersi cura di sé se vogliamo svolgere una professione d’aiuto. Ricordo con grande emozione le cerimonie vietnamite, tutte bellissime, soprattutto quello serali al chiaro della luna.
Thai ha messo le basi per la diffusione della Mindfulness nel mondo. Ha portato pace nei cuori di molti vietnamiti e americani. Ha parlato di perdono nel senso più alto e spirituale possibile. È arrivato al cuore di laici come me. Ha reso usufruibili per noi non monaci, divulgandole, le tecniche buddiste, integrandole alla realtà quotidiana.
Lì a Plum Village meditavo camminando, pulendo le verdure, cantando. Ogni gesto diventava una meditazione e quando suonava la campana tutti ci fermavamo per tre respiri. Ho sentito parlare di respiro più in quei giorni che alla scuola di Rebirthing da me frequentata!
Ho lavorato sulla presenza mentale, la disciplina essenziale per il Maestro. Il processo che alimenta la consapevolezza del presente. Ho imparato ad essere presente nel respiro: l’atto del respirare, inspirare prendere con sé, espirare cioè lasciar andare ciò che non ci serve più. E sempre con un sorriso.
Ogni persona di ogni cultura può mettere in atto la presenza del respiro e trovare enorme giovamento dal rallentare e trovare la presenza in ciò che c’è, un momento dopo l’altro. Questa è una delle tante esperienze che porto con me nell’insegnamento a scuola.
Condivido con i miei allievi tutto quello che ho imparato negli anni di lavoro su di me, perché credo profondamente nella condivisione, nell’arricchimento reciproco come mezzo per rendere questo mondo un posto migliore per noi stessi e per tutta l’umanità.
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