Negli anni Novanta, per riuscire a vivere il mio talento, sono stata ispirata da un piccolo ma profondo testo di Deepak Chopra: Le sette leggi spirituali del successo. Ho dovuto leggerlo e rileggerlo per far entrare in profondità i suoi concetti apparentemente molto chiari ma, a livello profondo, difficili da accettare e mettere in pratica.
Nel 2004 quando abbiamo aperto il Centro Dharma, la nostra attuale sede di Milano, siamo stati ispirati nella scelta del nome dalla settima legge spirituale: la legge del Dharma. Questo termine sanscrito significa “scopo della vita”. Chopra sostiene – e io sono d’accordo con la sua visione – che ci incarniamo in una forma fisica per adempiere ad uno scopo. Qualcuno più fortunato comprende molto presto e con facilità quale sia il proprio.
Ad esempio Stefano ha compreso a cinque anni che aveva sviluppato il talento del musicista e i genitori l’hanno sostenuto in questo. Poche persone sono così precoci, infatti qualcun altro necessita di più tempo e ha bisogno di pazienza e lavoro su di sé per arrivare a comprendere per che cosa è venuto al mondo. Io sono una di queste persone che ha dovuto faticare un po’ per trovare ciò che valesse la pena di fare e che avrebbe avuto le caratteristiche di cui vi parlerò in seguito.
La mia missione è quella di essere un aiuto e un’ispirazione per gli altri a scoprire il proprio talento e le proprie caratteristiche peculiari. Nessun nome meglio di Dharma avrebbe potuto rendere meglio l’idea. Durante i nostri corsi diamo parecchi strumenti per poter arrivare a comprendere cosa siamo qui a fare, quali sono i nostri talenti e come li possiamo mettere in pratica, migliorando quindi la qualità della vita stessa.
Il segreto consiste nello scoprire in cosa riusciamo bene, quando e in che modo esprimiamo il nostro talento. Facendo cosa non ci accorgiamo nemmeno del tempo che passa? Quando non ci poniamo più la domanda: “che cosa ci guadagno?” ma invece ci chiediamo: “in cosa posso essere utile agli altri?” allora stiamo esprimendo il nostro scopo della vita.
Ogni volta che entriamo dentro di noi immergendoci profondamente nella nostra essenza riemergiamo con i gioielli che si trovano all’interno. Durante uno dei miei corsi preparo una bacinella d’acqua con dentro dei sassi o delle pietre. Ogni partecipante ne sceglierà una, quella che l’attira di più, portandola poi con sé.
L’acqua è considerata l’elemento di purificazione e di rinascita. Quando le persone cercano nell’acqua e prendono il proprio sasso o cristallo questa pietra rappresenta proprio l’unicità di ciascuno di loro. Il sasso è forte e solido proprio come l’essenza di ognuno di noi.
Questa pratica è come se fosse un impegno verso se stessi, verso la propria unicità per onorarla: la pietra è lì per ricordare alla persona che è un individuo unico e irripetibile e che va onorata la sua originalità spostandosi dall’osservare continuamente, come fanno molti, i difetti e quello che non va, al vedere la bellezza, la purezza, le buone intenzioni positive che spesso si celano dietro.
Propongo invece di vedere il bicchiere mezzo vuoto, come capita quando siamo sotto stress, di vedere il bicchiere pieno e con al suo interno un dono che rappresenta le nostre potenzialità, spesso sopite. Entrare nell’acqua per riemergere con il tesoro della terra, simboleggia la ricerca interiore, una via d’accesso alle proprie ricchezze nascoste e profonde, troppo spesso dimenticate o non adoperate.
Ogni volta che utilizziamo qualche pratica, di respirazione o di meditazione o comunque di lavoro interiore, ci immergiamo profondamente nel centro del nostro essere per riemergere con i gioielli che si trovano all’interno: potenzialità nascoste, nuova energia vitale, ampie possibilità che con la mente razionale non avevamo nemmeno immaginato. La nostra essenza è lì per brillare e per aiutarci ad espanderci e così essere da esempio per gli altri.
Ad esempio Paolo quando è arrivato al Centro svolgeva una professione che non amava: aveva esaudito il desiderio di suo padre. Ha frequentato la scuola che il padre aveva scelto per lui e in seguito trovato facilmente lavoro. Tutto sembrava venirgli facile; solo che Paolo non era per niente appagato. Questa insoddisfazione era latente, qualcosa che gli prendeva di tanto in tanto lo stomaco, come un’ansia leggera dentro di lui.
Quando l’ho conosciuto, invece, l’ansia era fortemente aumentata e Paolo faceva fatica a dormire e si sentiva come un criceto nella sua gabbietta: tutte le giornate uguali, prive di soddisfazione con un unico e prevedibile percorso da fare. Frequentando i nostri corsi ha piano piano compreso cosa veramente volesse fare: è entrato in contatto coi suoi talenti e con la felicità che gli procurava fare partecipi gli altri della sua creatività.
In qualche anno si è costruito una professione alternativa a quella scelta fatta per compiacere suo padre, che era stato un padre presente e affettuoso e che pensava “per il bene di Paolo” di consigliarlo per una professione apparentemente sicura ma non adatta alle capacità del figlio. Inutile dire che l’ansia è scomparsa e che Paolo quando lavora non si accorge nemmeno del tempo che passa; è diventato una persona gentile e disponibile con tutti e si sente pienamente realizzato.
La realizzazione nella professione l’ha portato velocemente anche verso una relazione d’amore con la possibilità così di dare vita al sogno di avere una sua famiglia.
Rispondendo alle seguenti domande permettiti di scrivere a ruota libera, senza censurarti e senza giudicarti. Scrivi senza riflettere troppo, sii spontanea o spontaneo. Prenditi del tempo, anche poco tempo ma per qualche giorno consecutivo per vedere dove ti potrà portare questa ricerca interiore.
Buona ricerca
Quando lavorate siete come un flauto:
attraverso il suo cuore
il bisbiglio delle ore si trasforma in musica.
E cosa significa lavorare con amore?
È tessere la tela con i fili del vostro cuore,
come se dovesse indossarla il vostro amato.
Kahlil Gibran, il Profeta
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